Il primo dei due spettacoli messi in scena al Teatro Sant’Andrea è stato Divinissimo, della Compagnia di Urbino. Il nome è preso dall’aggettivo con cui il segretario di Agostino Chigi, banchiere e mecenate, loda Raffaello Sanzio, indicato da Agostino per dipingere la nuova loggia della sua villa. Ma il segretario si è sbagliato ed è entrato nella bottega di Sebastiano del Piombo, rivale di Raffaello sull’orlo del fallimento; da questo equivoco (in realtà… pilotato) si sviluppa la vicenda.
Vicenda che parte però dalla visita di Agostino a una cortigiana romana, e dalla volontà di lui, che pare innamorato, di tornare la sera successiva. Sarà invece un cardinale ad arrivare da lei, come ogni sera e a tentare di stuprarla dopo il rifiuto della giovane che ucciderà l’alto prelato con il coltello che proprio Agostino le aveva dato. La scena si sposta dunque nella bottega malmessa di Sebastiano, intento a litigare con i suoi assistenti; lì irrompe il segretario di Agostino, che promette ottomila scudi a Sebastiano per la realizzazione dell’opera. Il segretario esce, Sebastiano e gli assistenti esultano, ma il segretario si è scordato il cappello, torna nella bottega, lo prende e saluta… il Maestro Raffaello. Gli assistenti iniziano a minacciare il segretario, che non capisce, mentre Sebastiano ha un mancamento, ma infine si finge il ragazzo di bottega di Raffaello per avere il denaro.
Arriva allora nella bottega un giovane che rivela di aver indirizzato il segretario spaesato nella bottega di Sebastiano al posto di quella di Raffaello, dall’altra parte della strada; per non rivelare quanto accaduto il giovane chiede in cambio di diventare assistente di Sebastiano, che è costretto ad accettare. Il giovane è in realtà la cortigiana che ha ucciso il cardinale; lo scoprirà Giulio, uno dei due assistenti di Sebastiano.
La scena si sposta poi nella loggia, ancora incompleta all’arrivo di Agostino, che – fiutando l’inganno – rinchiude tutti gli artisti nella villa. Si scopre così che Agostino si sposerà, e la cortigiana scopre che non sarà lei la fortunata, benché lo sperasse. Nella scena finale Agostino parla con Raffaello fuori dalla villa e dichiara di essere intenzionato a uccidere tutti gli artisti, ma viene anticipato dalla cortigiana, che rivela la falsa identità assunta e si suicida bevendo del solfuro d’arsenico, usato per realizzare i dettagli dorati dell’opera, davanti ad Agostino che col suo corpo esanime tra le braccia rivela a sua volta che era lei invece colei che avrebbe sposato. Fa dunque bere l’arsenico agli assistenti, ma sono proprio loro ad accorgersi che è in realtà zabaione: l’arsenico era stato dato al povero segretario. Federica, la cortigiana, si risveglia e abbraccia Agostino, mentre lo spettacolo è chiuso da un delirante Sebastiano, che realizza il suo fallimento.
Questo spettacolo ha vinto sia il premio della giuria che quello del pubblico, e questo verdetto unanime mi trova decisamente d’accordo. E’ basato sulla coralità, senza un vero protagonista: Agostino resta sulla scena per non più di dieci minuti; Sebastiano, nel suo delirio, sfuma via dallo spettacolo nella parte finale; Federica è colei attorno a cui gira la vicenda, la chiave di volta, ma non sale mai in cattedra per diventare protagonista; e pure il grande assente, Raffaello, non incombe sulla vicenda, non si sente la sua mancanza sulla scena: è solo un altro personaggio. Sono invece i personaggi secondari la vera forza dello spettacolo: tutti sono stati citati dal pubblico come loro preferiti, con in testa Giovanni da Udine, che alterna momenti comici sulla scena a momenti poetici quando passa a fare il narratore. Nel complesso, lo spettacolo è davvero ben oliato, ed è molto difficile trovare al suo interno un punto debole. Voto 5/5