La compagnia teatrale The Oxford Troubadours partecipa a FAcT mettendo in scena The Surprise di G. K. Chesterton, un autore inglese non molto noto, vissuto a cavallo fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. The Surprise è una delle poche opere teatrali a cui lavora, impegnato principalmente in attività giornalistica e nella stesura di saggi e romanzi.

Martedì mattina al Filter Coffee Lab i giovani teatranti, accompagnati dalla regista, parlano della scelta che li ha spinti a lavorare sull’opera di Chesterton.

La piéce permette di affrontare temi piuttosto seri e attuali in modo leggero e a tratti comico, facendo riflettere gli spettatori sulla natura dell’uomo e sul suo rapporto con la libertà. Il legame particolare che Chesterton ha con i suoi personaggi rimanda a quello più alto fra il creatore e le sue creature e la libertà dei suoi personaggi diventa la libertà di pensiero e di azione degli esseri umani di fronte al mistero della creazione e della vita. Quanto è libera una creatura? Quanto siamo burattini in balia di un progetto più grande o quanto invece siamo liberi di muoverci senza limitazioni?

Chesterton crede fermamente che un uomo – e così un personaggio – non sia veramente felice quando semplicemente agisce nel bene. Un uomo diventa felice non appena sceglie spontaneamente di agire nel bene.

Oggigiorno ci preoccupiamo continuamente di fare programmi a lungo e breve termine, abbiamo paura del futuro e degli imprevisti che questo ci prospetta. Ma ci dimentichiamo di una componente fondamentale che da sapore e suscita nuovo entusiasmo in ciò che ci accingiamo a fare. Ci dimentichiamo che a volte è proprio la componente della sorpresa, della libertà e dei suoi relativi imprevisti che scombinando i nostri piani ci consentono di raggiungere la felicità più vera e genuina.

L’idea può apparire infantile ed effettivamente è necessaria una componente di ingenuità per potersi stupire negli eventi della vita. Ma la sorpresa è anche un rischio, un rischio che aggiunge un qualcosa di più; un amore meccanico non è mai pienamente soddisfacente e intenso e così anche la vita nella sua quotidianità.

Durante la rappresentazione di mercoledì sera al teatro Sant’Andrea, uno dei personaggi rimane deliziato dal gusto di un vino; poco dopo dichiara che la bontà del vino non era dovuta tanto al suo gusto quanto al fatto che nel prendere il primo sorso era convinto che fosse acqua, non aspettandosi in nessun modo di poter sorseggiare qualcosa di diverso.

Come avviene però anche ne Le Nuvole di Aristofane – in scena lunedì sera, emerge anche un’altra idea di fondo. L’uomo non riesce a essere felice nemmeno nell’assoluta libertà, ha bisogno di regole, regole che non siano coercitive, ma che ogni tanto lo indirizzino e gli consiglino come muoversi. L’obbedienza in contrapposizione ed equilibrio con l’elemento di libertà e di sorpresa genera nell’uomo benessere.